I Gigliamonti, la SS. Annunziata e la fattoria di San Miniato (secolo XVI)
Nella tribuna della SS. Annunziata di Firenze e in particolare nel giro di sinistra nei pressi della cappella di San Sigismondo già della famiglia Guadagni, oggi detta della Resurrezione per la presenza della tavola con questo soggetto dipinta da Agnolo Bronzino, si trovava la sepoltura con lastrone di marmo di Tommaso Gigliamonti da San Miniato.
Datata 1577, è ricordata su internet dal sito Digital-Sepultuario assieme alla sua iscrizione:
“Thomme Petri Antoni de Gigliamonti Sanminiatensis notario ac civi Florentino de hoc conventu bene merito eiusque posteris sepulcrum hoc dicatum an. sal. 1577” – Questo sepolcro nel 1577 è stato dedicato dai suoi discendenti a Tommaso di Pier Antonio Gigliamonti notaio da San Miniato e cittadino fiorentino benemerito di questo convento”.
Il Digital-Sepoltuario riporta anche la fonte della notizia, cioè il documento conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, Manoscritti, 628, Sepoltuari di Francesco della Foresta, pp. 701-702, e oltre a ciò riproduce uno stemma della famiglia colorato “d'azzurro, al monte di sei cime d'oro, e al capo cucito d'Angiò” (da confrontare con quello della nota raccolta Ceramelli Papiani 2358 e di un altro sepultuario conosciuto, il Rosselli).
Dei Gigliamonti il sito ricorda anche pochi componenti: Gostanza (moglie di Girolamo di Matteo Landini, doc. nel 1527) e Tommaso sopra citato.
Poco altro vi sarebbe altro da dire sulla sepoltura e sulla famiglia ... se in un registro alquanto sciupato conservato sempre nell’Archivio di Stato di Firenze, il padre Eliseo Biffoli († 1587) dei Servi di Maria, oltre alle Notizie Memorabili (da me pubblicate nel 2019), non avesse trascritto altre informazioni su dei beni terrieri del convento in essere ai suoi tempi. Spicca tra tutti quella che fu detta la “fattoria di San Miniato”, una proprietà fiorente e assai redditizia, e sorprendentemente legata in tutto e per tutto ai Gigliamonti.
In particolare il padre Biffoli spoglia i documenti notarili datati prima dell’acquisizione da parte della SS. Annunziata della fattoria e li riporta in sunto.
In tal modo conosciamo altri componenti della famiglia, datisi da fare con gli acquisti di terre per aumentare il valore della proprietà. Furono:
– Selvaggia vedova di Tommaso di Iacopo da San Miniato che vendette della terra a Pozzatello di Santa Maria a Monte a un compratore senza nome nel 1490.
– Pier Antonio di Tommaso di Iacopo, suo figlio, ricordato come acquirente di terre dal 1500 al 1524.
– E infine Tommaso di Pier Antonio (di Tommaso di Iacopo) che proseguì l’opera di ‘assemblamento’ comprando dal 1526 al 1571 un altro buon numero terre.
Il padre Biffoli ricorda anche la fattoria divisa in quattro poderi principali situati in comuni e parrocchie lontani fra loro, ma raggiungibili ovviamente nello spazio di un giorno. Erano:
– il podere di Casale nel popolo di San Michele a San Miniato;
– il podere di Scoccolino nel popolo di Santa Lucia a Scoccolino, oggi a San Miniato basso;
– il podere di Santa Maria a Monte, le cui terre erano le più numerose e molte di esse poste nel piano presso l’Arno;
– il podere di Poggio Naldi sempre a Santa Maria a Monte.
L’ultimo ricordo del 1577 invece riguarda l’unico acquisto di terre a Pozzatello di Santa Maria a Monte fatto dal convento tramite il religioso procuratore, fra Mauro di Battista. Venditore fu Iacopo di Bernardo di ser Iacopo di Leonardo Rimbotti del luogo.
Si tratta di una singolarità che però si può spiegare con il fatto che a questa data la fattoria doveva essere già di proprietà del convento grazie al lascito post mortem di ser Tommaso, purtroppo non riportato (o almeno non l’abbiamo trovato).
Che però il nostro notaio sanminiatese fosse sinceramente affezionato alla SS. Annunziata lo provano altri documenti al di fuori del registro del padre Biffoli, quelli del Diplomatico conservato sempre all’Archivio di Stato di Firenze.
In particolare i frati, tramite il loro procuratore, e gli operai vendettero nel settembre 1546 a ser Tommaso una loro casa “imperfetta” costruita sulla Piazza per prezzo di 140 ducati. Tale alienazione però non fu ritenuta valida o ebbe qualche difetto formale se nel luglio 1551 venne sottoposta all’esame della commissione istituita in merito dalla curia arcivescovile di Firenze e nell’agosto approvata.
Da una delle pergamene si apprende che la vendita era stata fatta affinché i frati potessero utilizzare il ricavato per pagare le “pubbliche gravezze arretrate” a cagione dei “tempi critici”.
Il che concorda con l’iscrizione riportata dal Sepultuario del Della Foresta nel punto in cui ricorda ser Tommaso “de hoc conventu bene merito”.
Paola Ircani Menichini, 19 aprile 2024. Tutti i diritti riservati.
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